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Valerius Flaccus, Gaius - Argonautica » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 22v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano

Placido, e molle favorisci al lasso?
Et sì come constringi il sesso humano
Pauroso de la morte, ad imparare
Un morir lungo, hor grava me legato.

Oltre di ciò gli descrive la stanza assai atta al suo desio di voler dormire, dicendo:
E non lontan da le cimerie grotte
Una spelonca di profonda entrata;
Il monte è cavo, dove sta del Sonno
Pigro la casa, et la sua stanza eletta.
Ivi già mai, né di mattino, o sera
Co' raggi penetrar vi puote il Sole,
Anzi nuvoli ogn'hor di nebbia oscura
Escono da la terra; acciò la luce
Stia sempre in dubbio, che mai spunti il giorno.
Ivi il gallo non sta, che col suo canto
Dia segno del<l>'aurora; et meno anchora
Cani vi sono, ch'abbaiando sempre
Rompano de la notte i suoi riposi;
Né la più astuta dei vegghianti cani
Occa vi giace; né il garrir di progne
Troppo ha bisogno d'addolcir i petti.
Fera non v'è, non pecora, né armenti,
Né s'ode ramo alcun dal<l>'aria scosso,
Né lingua humana v'interrompe il sonno.
V'habita solo il mutolo Riposo;
Nondimeno da un sasso alto, e profondo
D'acqua v'esce un ruscel limpido, e chiaro
Che con mormorio dolce ogn'hor correndo
Per alcuni sassetti invita i sonni.
Nanzi l'entrata de la porta stanno
Papaveri fioriti, et herbe ombrose
Di numero infinito, onde si fanno
Opre, ch'altrui giaccia col sonno avolto;
La Notte le raccoglie, e ogn'hor le sparge
Per l'opaco terreno, acciò la porta
Coi cardini alcun strepito non faccia.
In quella casa non v'è guardia, o scorta,
Né alcun, ch'inanzi de l'entrata sieda.
Ma nel mezzo de l'antro un letto è posto
Per l'ebano sublime, et è di piume
Tutto coperto di color conforme;
Ivi con le sue membra in sonno involte
Riposa il dio di quel; cui stanno intorno
I vani sonni, ch'imitar ci fanno
Diverse forme, et tanti sono quante
Spighe ha il raccolto, et quante fronde tiene
Una gran selva; et quante arene insieme
Sparge sui liti il mar con l'onde altere.

Questo, ornato di così riguardevole stanza et ornamenti di letto, dice Tullio essere stato
figliuolo dell'Herebo et della Notte. Della qual cosa è da veder la cagione; et poi potre-
mo vedere dei ministri, essendo assai chiaro il senso della stanza descritta. Adunque il Son-
no viene detto figliuolo dell'Herebo et della Notte perché nasce dai vapori humidi che si
levano dallo stomaco et opilano i membri, et dalla queta oscurità. Se poi vogliamo inten-
dere del mortal sonno, non più difficilmente s'allegherà la cagione di tali padri. Percioché,
perduto il favore della carità et abbandonata la via di ragione, è a bastanza chiarissimo
esser cosa necessaria passare a mortal sonno. Hora mo' veggiamo di quelli che gli stanno
d'intorno, quali sono sogni di diverse spetie; ma solamente cinque ne dimostra Macrobio
sopra il Sogno di Scipione. La prima di queste si chiama Fantasma, la quale mai non s'a-
vicina a' mortali eccetto che lentamente, mentre il sonno c'incomincia assalire, et ch'
istimamo ancho vegghiare. Questa apporta seco spaventevoli forme da vedere, et per lo
più dalla qualità naturale et dalla grandezza differenti, come è noioso contrasto e maravi-
gliosa allegrezza, fortune valide, sonori venti, et altre simili. Dice Macrobio il foco di que-
sta esser ancho Ematte, o Ephiate, overo Ephialte; il quale la persuasione commune giudica assalire


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