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Valerius Flaccus, Gaius - Argonautica » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 23v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


per lo più, non bene intese. Et per ciò pare che Porphirio habbia l'openione contraria
a molti altri; il che prima per Homero poi per Virgilio è stato detto. Et perché ci è più
famigliare il verso di Virgilio che quello d'Homero, lo addurremmo in mezzo. Così
adunque dice il Mantovano:
Del sonno son due porte; una de' quali
Si dice esser di corno; onde si dona
Facile uscita a tutte l'ombre vere.
L'altra perfetta d'un avorio bianco
Per cui sen vanno i falsi sogni al cielo.

Per questi versi vuole Porphirio che tutti i sogni siano veri, giudicando che l'anima, ador-
mentato il corpo, come alquanto più libera si sforzi giungere alla sua divinità, et stan-
do involta nell'humanità drizzi tutta la potenza dell'intelletto, et vegga et discerne al-
cune cose; ma più siano quelle che vegga che quelle che discerna, o siano risposte di lonta-
no, o da più spessa coperta occolte. Et di qui nasce che quello ch'ella discerne, pur che in
tutto nebbia d'oscura mortalità non se le oppona in tutto, viene detto haver uscita per la
porta di corno; essendo il corno di natura tale che incavato et assottigliato habbia fa-
cile entrata, et come un corpo trasparente lascia ch'in sé si vegga le così ivi riposte. Quel-
lo che poi opponendovisi la nebbia della carne non si può vedere, diciamo essere rinchiu-
so in avorio. Il cui osso naturalmente è così sodo et spesso che, facendolo sottile quanto si
voglia, non lascia che vi si vegga le cose rinchiuse; le quali però chiama false Virgilio
perché non sono intese, come dice Porphirio. Hora ci resta veder de' suoi ministri, i quali,
benché siano molti, nondimeno non s'hanno i nomi di più che tre. De' cui il primo voglie-
no che si dica Morpheo, il che s'interpreta formatione over simulacro. Il cui ufficio, per
comandamento del Signore, è che si trasformi nella sembianza di tutti gli huomini, et imi-
ti le parole, i costumi, le voci et gli Idioma, come scrive Ovidio dicendo:
Ma tra mille suoi figli il padre elegge
Morpheo imitator d'ogni sembianza
Tra tutti gli altri diligente, e saggio.
Imita questi, i passi, il volto, e gli occhi
Et de la voce il suon d'ogni vivente.
Gli habiti insieme con l'usate vesti
V'aggiunge, et le parole; et questi è solo
Che finge di chi vuol l'essere, e il viso.

Il secondo è Itatone overo Phabetora, il significato de' nomi de' quali non so io.
Nondimeno l'ufficio di costui in questo verso descrive Ovidio:
L'altro fiera diviene, uccello, et serpe,
Et Ithatone è dagli dei chiamato,
Ma Phabetora il vulgo il noma, e dice.

Il terzo poi lo chiamarono Panto, cioè tutto. Il cui ufficio è fingere le cose insensibil, et
ciò dimostra Ovidio dove dice:
Ancho v'è Panto, che con arte strana
Si cangia in terra, in sasso, in onda, e trave,
Et ogn'altra insensibil cosa apprende.

Vuole quasi che per queste parole che le cose che noi dormendo veggiamo, ci siamo offer-
te dalla potenza esteriore. Che ciò mo' sia vero, altri il veggiano.


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