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Vergilius Maro, Publius - Georgica » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 24r

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


La Morte, decima-
ottava figliuola dell'Herebo.
Secondo l'openione di Tullio et di Crisippo, la Morte fu figli-
uola della Notte et dell'Herebo; la quale dimostra Aristotele essere l'ul-
tima delle cose terribili. Da questa tutti, non veramente incominciando
dal giorno che infelici entriamo nel mondo, pian piano di maniera
che non se n'accorgiamo continuamente siamo pigliati; et morendo
noi ogni giorno, alhora volgarmente diciamo morirsi quando lascia-
mo di morire. Volsero i precessori nostri, se bene noi infelici a mille guise siamo rapiti,
questa essere o violenta o naturale. Violenta è quella che aviene con ferro, con fuoco o per
altra disgratia a colui che fugge o che la ricerca. La natural poi, secondo Macrobio so-
pra il Sogno di Scipione, è quella per la quale il corpo non è lasciato dall'anima, ma l'ani-
ma è abbandonata dal corpo. Chiamarono appresso gli antichi la morte de' vecchi matura
o convenevole, et quella dei giovani non matura, et quella dei fanciulli acerba. Appresso
con molti altri nomi fu dimandata, come sarebbe Atropos, Parca, Leto, Nece et Fato. La fie-
ra opra di costei così ancho brevemente descrive Statio:
Da le tenebre stigie uscita fuori
La Morte tocca il cielo, et va volando,
Et copre con un soffio ogni guerriero,
Et quanti huomini tocca atterra, et toglie
Nessuna cosa non commune elegge;
Ma quelle sol, che son degne di vita.
Col veneno mortale i più sublimi
D'anni, e valor fa morir ella sempre.

Ma hora è tempo da scoprire quelle poche cose che di lei sotto velame sono nascoste. La
chiamano figliuola dell'Herebo perché dall'Herebo sia mandata, come nel prescritto verso
dimostra Stacio, cioè:
Da le tenebre stigie fuor mandata.
Overo perch'ella manchi di callidità, come fa l'Herebo. Detta è poi figliuola della Notte
perché pare horribile et oscura. La morte è ancho così chiamata, secondo Uguccione,
perché morde, overo dal morso del primo padre per lo quale moriamo, overo da Marte,
ch'è interfettor degli huomini. Overo morte quasi amaror, perché sia amara, conciosia che
nessuna altra cosa dagli huomini è tenuta più amara della morte; da quelli in fuori de'
quali dice Giovanni Battista nell'Apocalipsi: Beati quelli che muoiono nel Signore. Que-
sta, come pare che voglia Servio, è differente da Atropos, della cui s'è detto di sopra, in que-
sto, perché per questa violenta dobbiamo intendere la morte, come ancho assai si può con-
ietturare dal verso secondo di sopra di Statio. Per Atropos poi vuole che s'intenda la di-
spositione naturale delle cose; et è detta Atropos perché non si converte. La dissero poi
per Antifrasi Parca, percioché non perdona a nessuno; così ancho Leto, essendo mestissima
più d'ogn'altra cosa. Nece propriamente istimo quella per la quale con acqua, con lac-
cio, overo in altra guisa lo spirito viene intercluso. Fato ancho viene detta, accioché per
divina providenza sia mostrato prima che tutti quei che nascono denno morire.


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