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Plutarchus - De Alexandri Magni fortuna aut virtute » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. VIIv

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


non deve per ciò nascere dubbio alcuno, perché fu fatto cittadino di Firenze. Diede
ancho opera alla Astrologia, et hebbe per suo prencipale precettore Andalone de' Ne-
gri Genovese, al suo tempo famosissimo Astrologo. Fu di natura molto sdegnoso, il qual
vitio gli nocque non poco negli studi; amatore ancho della sua libertà, di sorte che
mai non volle accostarsi né obligarsi ad alcuno prencipe né signore, come che da mol-
ti fosse desiderato et pregato. Il che egli tocca nel Philocolo quando dice: Deh, misera
la vita tua, quanti sono i signori; li quali, s'io li loro titoli hora ti nominassi, in tuo dan-
no te ne vanagloriaresti, dove in tuo pro non te ne sei voluto rammemorare. Quanti no-
bili et grandi huomini, a' quali, volendo tu, saresti carissimo? Et per soverchio et po-
co lodevole sdegno che è in te, o a niuno t'accosti, o se pure ad alcuno, poco con lui puoi
sofferire, s'esso fare a te quello che tu ad esso doveresti fare, non ti dichini, cioè seguita-
re i tuoi costumi et esserti arrendevole. Fu medesimamente molto inchinato all'amo-
re et libidinoso, et non poco gli piacquero le donne, come che di loro in molti luoghi
dell'opere sue ne dicesse quel peggio che dire si potesse; tuttavia di alquante nelle scrit-
ture sue sotto finto nome ne fa honorato ricordo. Fieramente s'accese dell'amore di Ma-
ria, figliuola naturale di Roberto Re di Napoli, percioché per le guerre civili egli, co-
me amatore della pace et quiete partitosi di Firenze, et girata la maggior parte del-
l'Italia, alla fine pervenuto a Napoli et honoratamente raccolto da Roberto, a que' tem-
pi sommo Philosopho, avenne, sì come agli animi generosi accader suole, che chiudendosi
nel suo corpo altissimo et divino spirito, un giorno veduta la di lui figliuola nella chie-
sa di San Lorenzo quella estremamente prese ad amare, a petitione della quale compose
il Philocolo. Et che così fosse egli medesimo ne fa fede nel principio di quell'opra,
quando scrive: Io della presente opra componitore mi trovai in un gratioso et bel tem-
pio in Parthenope, nominato da colui che per deificarsi sostenne che fosse fatto di lui
sacrificio sopra la grata.
Così ancho nell'Ameto: Io entrai in un tempio, da colui detto
che per salire alle case delli Dii immortali, tale di sé tutto sostenne; quale Mutio di
Porsenna in presenza della propria mano.
Ma perché lo amore suo non fosse a ciascu-
no palese, egli hebbe riguardo col proprio nome non la ricordare; nondimeno, sì come è
naturale costume degli amanti, che non vogliono dire lo stato loro, et tuttavia vorreb-
bono che la maggior parte se ne sapesse, non gli bastò solamente il chiamarla Fiammetta,
che ancho in molti luoghi dà ad intendere che il suo proprio nome fosse Maria, et di
chi figliuola; sì come si vede nel Philocolo quando dice: Et lei nomò del nome di colei
che in sé contenne la redentione del misero perdimento, che adivenne per lo ardito gu-
sto della prima madre.
Et più oltre seguendo scrive: Il suo nome è qui da noi chiamato
Fiammetta, posto che la più parte delle genti il nome di colei la chiamino; per la quale
quella piaga che 'l prevaricamento della prima madre apprese, ci racchiuse.
Così ancho
medesimamente ne fa testimonio nell'Amorosa Visione:
Dunque a voi, cui i<o> tengo donna mia,
Et cui sempre disio di servire,
La raccomando Madama Maria.


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