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Biblia, 2 Cor » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 46v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


mi rimossi, affine di non incorrere in più fiero sdegno. Ma tu molto più desiderando che
non ti si conviene, poco avedutamente sei entrato in un profondo et oscuro gorgo, et ti pre-
sumi quello c'ho lasciato io. Tacerò, ch'io mi creda a te essere conceduto tanto lume et in-
gegno quanto faccia mistieri a così sublime opra; ma non voglio già tacer questo. Averti-
sci già, che t'ho avisato quello che fai. Crisitone, per haver offeso Cerere, pericolò. Pentheo
sprezzando i sacrifici di Baccho, percosso nel capo dalla madre, ne diede le dovute pene.
Niobe, per haver oltraggiato Latona, perduti i figliuoli et il marito, divenne dura selice.
Et per non raccontare più essempi, credi tu forse senza pena scoprire i fatti degli dei?
Tu t'inganni. Et se tu non ti rimovi, non conoscerai l'ira loro, fin che non l'havrai prova-
ta." Alhora io (se bene l'impeto dell'ondeggiante mare mi ostava), alquanto nondimeno stei
sopra di me, et dissi: "Da quai paesi sei venuto tra questi scogli? Dilmilo, che te ne prego,
perché tengo che tu sia venuto dall'Inferno. Conciosia che con l'odore di solfo tu empi
il tutto, et hai la bocca piena d'infernale caligine. Et di più od'io questi essere mandati
del scelerato Plutone, il quale pensa quasi ad un huomo christiano, come già tempo soleva
a' gentili, con tai cose mettere paura. Quelle catene veramente sono cadute, et le arme dell'
inimico sono state vinte. Noi redenti col pretioso sangue habbiamo vinto, et essendo rina-
ti et lavati in quello non temiamo i suoi inganni. Nondimeno io non manifesto i segreti del-
le tue dee, né apro gli andamenti de' tuoi dei, come s'io volessi più da vicino vedere le loro
pazzie; ma ciò faccio accioché si conosca che se i Poeti havessero ottimamente conosciuto
Iddio, sarebbono stati huomini famosissimi, et per lo maraviglioso arteficio degni di riveren-
za. Et affine che tu vegga quanto poco conto io faccia di questi tuoi favolosi dei, userò
una preghiera simile a quella di Stratonico, che pregava in sé l'ira d'Alabando; et così
Hercole, che pregava l'Imolesto. Adunque io prego tutti quelli de' quali m'essorti fuggir
l'ira, che mi siano contrari. Ma a te et a loro, insieme con quelli che creggiono tali paz-
zie, Giesù Christo ponga la sua mano aiutrice." Così detto, quello subito disparve. Ma io at-
tento col mio navigio solcherò il mare Egeo, per cercare una grandissima prole del cielo;
onde colui mi conduca che con la guida della stella condusse in Soria i Maghi ch'erano
venuti di Sabea ad adorarlo et offerirli doni.
Il Cielo figliuolo dell'E-
there et del Giorno, il quale generò undici figliuoli, benché nel pre-
sente libro faccia mentione solamente di otto, quali sono Opi,
Theti grande, Cerere prima, Vulcano primo, Mercurio ter-
zo, Venere magna, Venere seconda, et Iosio.
Il Cielo, non quella grande machina ornata di stelle, la quale Orpheo
diceva essere composta da Phanete per habitatione sua et degli altri
dei, et la quale noi sempre veggiamo con un circuito caminare, ma un
certo huomo così chiamato (come dice Tullio nelle Nature degli Dei), fu fi-
gliuolo dell'Ethere et del Giorno, cioè della virtù ardente et della luce


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