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Pseudo-Dionysius - De divinis nominibus » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 56v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


haverli ancho dato molto potere d'intorno le cose inferiori, et massimamente a questo ef-
fetto, accioché per loro movimento et influsso i tempi dell'anno che gira si variassero, si
generassero le cose mortali, le generate nascessero, le nate si nodrissero, et col tempo giun-
gessero al fine. Né dobbiamo ancho pensare questa potenza confusamente insieme nei cor-
pi essere stata congiunta; anzi a ciascuno haver dato il suo proprio ufficio, et haver di-
stinto d'intorno a quai cose s'havesse ad oprare la sua auttorità. Appresso, haver voluto
tutte le cose l'una verso l'altra, secondo il più et il meno delle congiuntioni et dell'avan-
zo delle forze, prestar aiuto secondo la varietà dei luoghi, con corrispondenti bisogni a
condurre l'opra all'intento fine. Et tra l'altre auttorità concedute a molti, sì come dimo-
stra l'effetto del pianeta di Venere, affermava l'istesso Andalone a quello essere stato con-
cesso ogni cosa che s'appartiene all'amore, all'amicitia, all'affettione, alla compagnia, al-
la domestichezza et unione tra gli animali, et specialmente nel generar figliuoli, affine
che vi fosse alcuno pianeta per la natura pigra et alla continuatione et ampliatione del
sesso. Là onde si può ammettere da costei esser causato i piaceri degli huomini. Il che con-
ceduto, benissimo finsero que' poeti che dissero l'Amore, overo Cupido, essere di lei figliuo-
lo. Ma egli è d'avertire perché Ovidio dica l'Amor gemino. Credo io l'amore esser solo,
ma bene istimo che, quante volte egli si lascia guidare in diversi effetti et cangia costumi,
tante fiate acquisti novo cognome et novo padre. Et di qui penso Aristotele haver designa-
to l'amor triplice per lo honesto, per lo diletto, et per l'utile. Et accioché Aristotele et
Ovidio non paiano insieme discordanti, forse Ovidio degli due ultimi ne faceva un solo;
conciosia che l'utilità mostra dilettare meno honestamente. Ma perché tale trattato più
tosto s'appartiene dove si farà ricordo dell'amore, overo di Cupido, verremo alle altre co-
se che si richieggono a Venere. Dicono adunque ella haver partorito le Gratie, et ciò non
è maraviglia, attento che qual amor mai fu senza gratia? Le quali, perché siano dette tre,
egli si dirà di sotto parlandosi di quelle, et appresso si dimostrerà molte altre cose a loro
proprie. Appresso gli huomini Venerei quella cinta da loro chiamata Ceston dissero a lei
non essere stata data da natura, né i poeti a quella l'havrebbono conceduta, se non le fos-
se stata apposta dalla santissima et degna di riverenza auttorità delle leggi, affine che
fossero raffrenati da qualche legame per la troppo soverchia lascivia. Ciò che sia esso ce-
ston Homero nella Iliade lo descrive, dicendo: ἧ καὶ ἀπὸ στήθεσφιν ἐλύσατο κεστὸν ἱμάντα
Ποικίλον, ἔντα δὲ οἰ θελητήρια πάντα τέτυκτο.
L'espositione è questa: Ceston slega dai pet-
ti il vano legame, dove tutte le cose a sé erano volontariamente ordinate, dove l'amicitia
et l'amore, la facondia et le carezze a studio erano riposte. D'intorno alle quai parole
considerandosi drittamente, conosceremo le cose appartenenti al matrimonio. Dice ivi es-
sere l'amore, accioché per quello si venga a comprendere il disio del sposo et della sposa
inanzi le nozze. Indi l'amicitia, la quale dal congiungimento et convenevolezza dei co-
stumi nasce, et si ritira in lungo. Se poi i costumi sono differenti, le inimicitie, le villanie,
il disprezzo, et simili cose alle volte veggiamo nascere. La facondia ancho, quanto fac-
cia di mistieri, egli si conosce chiaramente, percioché per lei s'aprono l'affettioni del co-
re, et l'orecchie degli amanti stanno intente. S'acquetano i litigi, che spesse fiate nasco-


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