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Vergilius Maro, Publius - Georgica » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 62v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


cho creato questo, né datagli alcuna potenza. Ma poscia che fu creato, così volendo il suo
creatore, col girar suo ordina i tempi et il tutto, descrive l'hore, il giorno, il mese, l'anno
et i secoli, sì come più apertamente nelle seguenti cose si dimostrerà. Così col mover suo
fa le qualità di tempi esser diverse, ad alcuna stagione dando le frondi e i fiori, all'altra le
biade; alla terza concede i frutti et incomincia a torre le foglie, all'ultima dona il rigor del
freddo et la bianchezza della neve. La carretta poi a lui così lucente apparechiata dino-
ta la di lui volubilezza non mai lassa, et perpetua, col lume che mai non manca nel girare
di tutto il mondo; la quale è di quattro ruote per dimostrare ch'i già quattro tempi descrit-
ti sono fatti per lo suo girare. Così ancho i quattro cavalli sono per dinotare le qualità del
camino del giorno, percioché Piroo, che il primo è nel tempo, si dipinge rosso, attento che nel
principio della mattina, ostando i vapori che levano dalla terra, il Sole nel levarsi è ros-
so. Eoo, che è il secondo, essendo dipinto bianco, viene detto splendente, perché essendosi sparso
già il Sole, et havendo cacciato i vapori, è splendente et chiaro; Etheone poi, che è il terzo,
viene figurato rosso et infiammato, ma che però trahe al giallo, conciosia che essendo alho-
ra nel mezzo del cielo fermato il Sole la sua luce è splendente, et a tutti pare più ardente.
Ma Phegone, che <è> il quarto, viene dipinto di color giallo che tende al nero, dimostrando la
declinatione di quello verso la Terra, percioché calando verso quella mostra il tramontare.
Nondimeno Fulgentio chiama questi cavalli con altri nomi, benché a loro dia le medesime
espositioni, cioè Erittreo, Atteon, Lampo et Philegeo. Per la corona poi con dodici gemme
Alberigo con lunga diceria dimostra doversi intendere i dodici segni celesti, per li quali
gl'ingegni de' mortali trovarono lui ogni anno discorrere. Oltre queste predette cose, ci re-
sta slegare il gropo di suoi nomi; di quali, perché egli ha alcune cose communi con alcuni al-
tri dei, riserbando quelle dove si tratterà di tali dei, si esporrà solamente quelle, quanto
piu brevemente si potrà, che a lui solo parrano convenirsi. Primieramente adunque egli si
chiama Sole, percioché, in quanto a pianeta, egli è solo, come pare che dimostri Macrobio,
dicendo: Perché ancho Latino chiamò quello Sole; il quale solo ottenne tal nome per tanta chia-
rezza.
Et Platone nel Thimeo, dove tratta delle sphere, dice: Accioché per essi otto circoli
di celerità et tardità vi sia, et sia conosciuta una certa misura, Iddio nell'andito sopra la
Terra v'accende un lume di stelle, il quale hora chiamiamo Sole.
Appresso, dove Tullio tratta
della Republica, lo chiama prencipe et capo, dicendo: Poi il Sole penetra sotto mezzo il
paese della Terra, et quella ottiene come capo, prencipe, moderatore degli altri lu-
mi, mente del mondo, et temperamento, et con tanta grandezza la regge, che con la
sua luce illustra et empie il tutto.
Sopra le quai parole nel Sogno di Scipione così dice Ma-
crobio: Capo adunque, perché precede tutti con la maestà del lume. Prencipe, perché tanto
sta eminente, che pare un velo, et viene chiamato Sole.
Et non molto da poi segue:
Viene detto mente del mondo, così come i Phisici lo chiamarono core del cielo. Et
non mi maraviglio, conciosia che egli regge tutte quelle cose che con ordinata ragio-
ne veggiamo essere portate per lo cielo, cioe il dì, la notte, et le cose che stanzano
tra l'uno et l'altra, con i giri della lunghezza, et brevità, et la giusta misura dell'
uno et l'altra, con certi tempi. Indi la benigna temperanza della primavera. Il torrido


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