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Plato - Epinomis » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 82v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


congiunti con le sue cavalle egli poi n'hebbe velocissimi cavalli, i cui successori ne serba-
rono poi sempre razza; et di qui detto quelli essere stati figliuoli di Borea.
Zeto et Calai
figliuoli di Borea.
Calai et Zeto furono figliuoli di Borea et Orithia; i quali
Ovidio dimostra essere andati con Giasone et gli altri Argonauti
in Colcho. Ma, sì come dice Servio, essendo stati raccolti et alloggia-
ti da Phineo Re d'Arcadia; il quale, percioché a persuasione della mo-
glie havea privo di lume i suoi figliuoli, anch'egli era stato orbato
dalli Dei, et per maggior supplicio gli haveano mandato le Arpie, uccel-
li molto iniqui et sozzi che continuamente gl'impedivano et bruttavano le vivande, per
rimunerar quello dell'hospitio. Zeto et Calai, perché havevano l'ali, furono mandati a
cacciar via i famelici uccelli; i quali con le spade in mano perseguitando le Arpie et cac-
ciandole di Arcadia, fino all'isole che si chiamano Plote le condussero; dove, per rivella-
tione d'Iris avisati che restassero di più oltre non seguitare i cani di Giove, se ne torna-
rono ai compagni. Il cui ritorno dei giovani mutò il nome all'isole, le quali, sì come era-
no chiamate Plote, furono poi dette Strophade, percioché Strophe in Greco latinamente
significa ritorno. Questo mi ricordo io di loro haver letto. Quello che poi sotto velame
s'habbiano le fittioni, è da scoprire. Dice adunque Ovidio che questi tali dopo la pueri-
tia hebbero le piume, le quali io intendo per la barba, et la velocità, che vengono nella gio-
ventù dell'huomo. Circa poi l'allegoria delle cacciate Arpie da questi, dico che per dono
divino tutti nasciamo buoni, et la prima moglie de' mortali è la bontà, overo innocenza;
ma finalmente cresciuti in età, per lo più gettata via l'innocenza diventiamo tristi, et al-
hora si mena la seconda mogliera, percioché ciascuna si lascia guidare dal giudicio del con-
cupiscevole appetito; il quale in quanti pericolosi passi ci guidi n'è testimonio Phineo,
cha dal disio dell'oro occupato, mentre crede all'avaritia, che gli fu seconda moglie, pri-
va degli occhi i figliuoli. I nostri figliuoli poi sono l'operationi lodevoli, che alhora sono
prive di lume quando le bruttiamo con opre scelerate. Percioché qual cosa più vergo-
gnosa possiamo oprare, che rifiutare l'animo buono per acquistar ricchezze? Il che (testi-
monio Seneca Philosopho) facetamente disse Demetrio ad un certo figliuolo d'un huomo
servo, che il dimandava; cioè, essere a lui facile la via di ritrovar ricchezze quel gior-
no nel quale si pentiva della mente buona. Così anche noi diventiamo ciechi quando per
soverchio disio di roba si lasciamo guidare a rapine et vergognosi guadagni. A questi ta-
li son messe inanzi l'Arpie, bruttissimi uccelli et rapaci, i quali io tengo che siano i mor-
daci pensieri et solecitudini degli avari; da' quali perciò è detto esser tolte dinanzi le vi-
vande agli avari perché, mentre sono ritenuti da tali pensieri, caggiono in così grande
oblio di sé stessi che ancho alle volte si scordano pigliare il cibo, overo mentre gli avari
cercano aggrandire il cumulo minuiscono a sé medesimi i cibi, et con la sua miseria gli
fanno sozzi. Gli Argonauti che con costui alloggiano, perché tutti furono giovani illu-


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