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Aristoteles - De sensu et sensibilibus » Boccaccio, Giovanni Geneologia degli Dei - p. 92v

Boccaccio, Giovanni

Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio ... tradotti et adornati per Messer Giuseppe Betussi da Bassano


Orpheo, cioè il nome, overo quelle cose che sono composte dall'ingegno d'Orpheo; percioché
nel capo vivono le forze dell'ingegno, sì come fanno l'altre. Ma però s'è detto il capo del
serpente convertito in sasso per dimostrar niente a lui poter dar danno. Il che fin'hora
non ha potuto oprare, né fare che fin hoggidì non sia con la sua cithara molto famoso, essendo
tra i poeti tenuto quasi il più antico. Oltre ciò sono di quelli che vogliano, et tra questi Pli-
nio nel libro dell'Historia Naturale, di costui essere stata inventione il pigliar auguri dagli
altri animali, che solamente dagli uccelli si pigliavano prima. Medesimamente alcuni isti-
marono ch'egli fosse inventor della cithara, tutto che gli altri diano l'honore ad Amphio-
ne, overo a Lino. Nacq. in Thracia della famiglia Cicona; il che, secondo che afferma Solino
delle Cose Maravigliosi del mondo, fino al tempo suo si teneva di grandissimo honore. Del suo
tempo a me non pare che si dubiti, percioché molti testimoniano ch'egli tra gli Argonauti
andò con Giasone in Colcho, come vuol Statio. Di questo nondimeno scrive Lattantio nel libro
delle Divine Institutioni. Et fu in que' tempi ne' quali fu Fauno; ma qual di loro nascesse pri-
ma, v'è dubbio. Medesimamente in quelli anni regnò Latino et Priamo, et i loro padri Fau-
no et Laumedonte; onde regnando Laumendonte Orpheo andò al lito di Troia.
Queste co-
se scrive Lattantio. Eusebio poi nel libro dei Tempi dice ch'egli fu regnando in Athene Egeo,
il che assai pare convenirsi. Ma Leontio diceva costui non esser quello che ritrovò i sacri-
fici a Baccho, affermando quello essere molto più antico.
Aristeo decimo figli-
uolo d'Apollo, che generò Atteone et Iolao.
Nacque d'Apollo et di Cirene figliuola del fiume Peneo, Aristeo, sì come
testimonia Virgilio in persona d'Aristeo nella Georgica, dicendo:
Madre Cirene, madre qual in questo
Profondo gorgo la tua stanza tieni.
Perché me nato de la chiara stirpe
Degli alti dei (se vero è quel che dici,
Che il timbreo Apollo mi sia padre)
Mal voluto dai fati hai generato?

Il che conferma ancho Giustino nell'Epitoma di Pompeo Trogo recitando tal favola, cioè che
Ciro Re dell'isola Corami hebbe un figliuolo chiamato Batto, rispetto che non havea la lin-
gua libera et espedita. Onde essendo venuto Ciro all'oracolo in Delpho per impetrare con pre-
ghi la loquela del giovanetto figliuolo, hebbe per risposta che Batto devesse andare in Afri-
ca et edificare una città chiamata Cirene, ch'ivi riceverebbe la ispeditione della lingua.
La qual cosa non fu essequita perché l'isola Corami era tropo solitaria, onde non sapeva qua-
li habitatori, andando in Africa, vi potesse condurre; finalmente in processo di tempo venuta la
peste in Corami, restarono gli huomini così rari che a pena se ne caricò una nave. Questi
venendo in Africa, et piacendoli l'amenità del loco et l'abondanza delle fonti, si fermaro-
no sul monte Ciro. Ivi Batto loro capo, sciolti i nodi della lingua, incominciò prima a parla-
re; là onde divenuti certi delle promesse dell'oracolo, edificarono la città Cirene. Ma in
questo modo dai posteri è stato finto che Cirene fu una bellissima donzella rapita da Apol-
lo sopra Pelio monte di Thessaglia, et portata sopra la cima di quel monte il cui colle havea-
no occupato quelli c'havevano seguito il figliuolo; et di lui essendo divenuta pregna par-


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